Novembre 2015. "Ehi! Hai sentito la novità?!?!? Quest'anno il Giro
arriva finalmente a Sant'Anna!! E il giorno dopo, per l'ultima tappa, si
partirà da Cuneo con arrivo a Torino!!!!"
Cala il silenzio. Sant’Anna. Sono anni che ce lo chiediamo:
“perché diavolo non fanno un arrivo lassù? Sarebbe perfetto!”. Alla fine il dio
del ciclismo ci ha ascoltati ed eccoci qui, inizia l'attesa. Da quel giorno di
novembre al 29 maggio ci premerà un solo pensiero: organizzare una tre giorni
EPICA.
Le idee sono già chiare: a Sant’Anna arriveranno il sabato,
noi andremo già su il venerdì. Il giorno dopo vedremo la partenza da Cuneo, poi
viaggio in treno e arrivo a Torino. Cosa vuoi di più?
I giorni passano, Natale, Capodanno poi la quaresima e
Pasqua, infine, maggio. Arriva il fatidico weekend. Sui giornali, su internet,
nelle chiacchere di amici e parenti per strada girano le informazioni più
svariate: “chiuderanno la strada per Sant’Anna il giorno prima” “si potrà
salire in macchina fino al sabato prima, poi divieto di transito assoluto!”
“mineranno il ponte dopo Vinadio in modo da bloccare la strada!” “se sali su
non puoi scendere fino a ferragosto!” e così via… Un po’ spaventati e un po’
abituati dalle esagerazioni del cuneese medio decidiamo di partire il venerdì
mattina, abbastanza presto, "non si sa mai". Io e Stefano saliremo in
macchina, Simo e Michael saliranno in bici. La motivazione ufficiale della
scelta mia e di Stefano è che “qualcuno dovrà pur portare su il cibo per due
giorni, la tenda, e altro materiale per sopravvivere”, la motivazione
reale…beh…potete arrivarci da soli!
Lungo tutto il viaggio ci assale la paura di non riuscire a
trovare un parcheggio, terrorizzati all'idea di dover fare i tre chilometri che
separano il Santuario dal bivio per la Lombarda (punto di chiusura della
strada) a piedi carichi di zaini e cavagne, dal momento che SICURAMENTE non ci
permetteranno di salire fin su con la macchina.
Come volevasi dimostrare la strada è libera, al Santuario
non c’è quasi nessuno, in pratica siamo i primi, l’unica avvertenza ci viene
dal mitico Prezzemolo: “parcheggiate un po’ più giù perché qui ve la portano
via”.
Si inizia, nel migliore dei modi: aperitivo.
Sicuri che Simo ci metterà ancora un bel po’ di tempo per
arrivare, cerchiamo un posto per piazzare la tenda e con arroganza decidiamo
che l’idea migliore è montarla accanto alla sala stampa, a cinquanta metri dal
traguardo, in modo che domini sul piazzale d’arrivo.
Come già accennato ci eravamo ormai messi il cuore in pace sapendo
che per pranzo avremo dovuto aspettare l’arrivo di Simo ma il nostro compare va
come un treno e neanche un quarto d’ora dal completamento dell’accampamento e
già ci stavamo gustando focaccia savonese, salame cuneese, formaggio toscano e
birra filippina.
La giornata ha però un suo unico punto focale intorno al
quale tutto orbita: la tappa Pinerolo-Risoul. Verso le due ci fiondiamo al
mitico baretto del Santuario per non perderci neanche un secondo della diretta,
dapprima siamo in cinque…
…ma tempo un’oretta e diventiamo cinquanta o più! Ste, Simo,
io e due vecchietti ci prendiamo sulle spalle il duro compito di capi ultras:
la gara si fa sempre più accesa e noi saltiamo sempre di più sulle sedie, si
applaude, si grida, si incita, si rischiano infarti. E poi…
…e poi Vincenzino parte e non ce n’è più per nessuno. A ogni
attacco, ogni scatto, ogni singolo metro in progressione aumentano le grida, la
tensione e i battiti del cuore. È come se fossimo tutti lassù sull’Agnello a
faticare con Scarponi, giù per la discesa a soffrire con Kruijswijk o a Risoul
a esultare con Nibali, con un clima da stadio, o meglio, da curva Maratona…per
capire bisogna esserci!
[È stato detto in questa foto
Stefano: “eh ma non succede nulla, l’Orica non può
attaccare, non ha gli uomini”
Silvio Martinello: “parte l’attacco dell’Orica! L’Orica
greenedge inizia ad attaccare!”]
Totalmente galvanizzati da quello che è successo, al grido
di “non succede, ma se succede..” diamo attacco alla cena. Ci ha raggiunti
Michael partito in bici appena finita scuola, ripartirà il mattino seguente. Grigliatazza
sul piazzale condita dal retweet di Davide Malacarne al tweet di Stefano con il
tanto pubblicizzato hashtag #malacarne?.
Dormire in quattro in una tenda non è il massimo ma può
andarti peggio, puoi incappare in un simpatico camperista e alla sua play list
musicale notturna sparata a tutto volume lungo tutta la notte. Fra i brani più
apprezzati ricordiamo
-
Gli anni (883)
-
Laiseme (Lou Seriol)
-
L’amour toujours (Gigi d’Agostino)
-
Se chanto (Lou Dalfin)
E proprio su quest’ultimo brano non ho potuto fare a meno di
alzarmi, mano sul cuore, solo che erano le cinque del mattino e noi dormivamo
da quattro ore e mezza. Così svegliati (come testimonia questa foto) abbiam
deciso che la giornata poteva iniziare.
…esgardatz las ensenhas del cel…
Per poter tirarsela un poco e farsi belli davanti a tutti è
necessario faticare. Grazie a agganci che hanno del mafioso (no, dai, scherzo!
O forse no…) riusciamo ad ottenere dei pass per alcune aree riservate in zona
traguardo, ma c’è un problema: bisogna scendere fino a Vinadio per l’accredito.
Armati di buona volontà, verso le sette, dopo una frugale colazione, ci
fiondiamo contro corrente verso il fondovalle, a piedi. È bello pensare che
siamo partiti il giorno prima per evitarci proprio quello che stiamo facendo
ora, 16km (che diventeranno 32 con il ritorno) a piedi.
Il dolore, la rassegnazione e lo spaesamento per quest’impresa
sono ben raffigurate in questo ritratto.
Il fato ha voluto però darci una mano. Imboccato sulla via
del ritorno il ponte che introduce al vallone scorgiamo una macchina francese: “sono
francesi, i francesi danno passaggi!”, allora su il pollice e via di autostop. La
macchina magicamente si ferma, alla guida una signora, sul sedile di fianco una
ragazza e seduta dietro un’altra signora. Ci fiondiamo sulla vettura e iniziamo
a fare due chiacchiere con le nostre salvatrici:
“Da dove venite?”
“Nizza”
“Uh! Noi siamo di Cuneo, come mai lei non parla francese?”
“Eh non siamo proprio di Nizza, noi ci abitiamo solo, in
realtà veniamo dall’Oregon”
“Ma va?! Dall’Oregon? Per vedere il Giro d’Italia?! Grandi!”
“E si, suo figlio è un corridore della Sky”
“…”
“Ian Boswell”
Essere stati salvati dai famigliari di un corridore è una di
quelle cose che puoi raccontare al bar, non succede tutti i giorni, Stefano
però è voluto andare oltre. Scesi dalla macchina ci incamminiamo verso il Santuario
ancora a qualche chilometro di distanza mentre la signora Boswell procede verso
il Colle della Lombarda alla ricerca di un parcheggio (piccola parentesi: ma
siete madre e fidanzata di un corridore, non lo avete un pass o per lo meno un
parcheggio riservato?!?!), Ste si gira di scatto “merda! Il pile!” e via di
corsa dietro la macchina ormai troppo distante. Addio pile. C’è però una
soluzione elementare e al contempo geniale per recuperare la tanto amata maglia…
…questa.
Risaliamo all’accampamento e notiamo con sorpresa il lavoro
della perfetta machina organizzatrice del Giro che nelle poche ore della nostra
assenza ha totalmente edificato lo spoglio parcheggio.
Mentre noi eravamo a camalare (ringrazio per l’esistenza di
questo fantastico verbo) fino a Vinadio, Simo ha intrapreso un tranquillo
giretto in bici di cinque/sei ore sullo spartiacque fra il vallone di Sant’Anna
e quello vicino di Terme, sbagliando totalmente il calcolo dei tempi. “Lo
ritrovarono ore dopo, a tappa quasi conclusa, stremato” (cit. rag. U. Fantozzi).
Simo in giro, Michael ormai già a Cuneo, Massi a casa a
studiare, a me e Ste non resta che gaggiarcela all’hospitality fra prosecco,
mini panini e pasticceria d’alto livello in compagnia di giornalisti, autorità
e uno sfuggevole Ivan Basso.
(foto da internet)
Nonostante le notevoli distrazioni la nostra attenzione è
tutta lì, sulla gara. Il morale non è dei più alti: la Bonette è passata e
nessuno ha attaccato, c’è stata la discesa e niente, nessun allungo. Poi,
quando ormai non ci aspettavamo più nulla, a otto chilometri dall’arrivo alla
Lombarda, succede quello che doveva succedere: l’attacco. Nibali allunga il
passo, tirato da quel semi-dio che è Scarponi, poi il Gregario lascia il via
libera al capitano inseguito a sua volta dalla maglia rosa e da Valverde. Il ritmo
è pazzesco, non ci sono scatti o cambi di ritmo, Chaves e Valverde non riescono
a stargli dietro. Sette secondi, dieci secondi, venti secondi. Scollinamento. Ci
spostiamo il più velocemente possibile alle transenne, la gente grida, i
cronisti ci aggiornano sui tempi, gli elicotteri fanno la colonna sonora. Il distacco
aumenta sempre di più ma nessuno vuole dire nulla, finché non saranno
transitati tutti sotto il traguardo non si può essere sicuri di nulla. Lo speaker
continua a dare i tempi fino all’unico tempo che vogliamo sentire: +44’’. Passano
i primi e poi arriva lui, Vincenzino, scatta, affaticato ma palesemente felice,
passa sotto il traguardo e tutti si fissano sul cronometro. Passano 44 secondi e
Chaves non è ancora arrivato. La folla esplode, le bandiere sventolano, io e
Ste, a un passo dalle lacrime, ci saltiamo addosso abbracciandoci. Tutto
bellissimo, troppo per essere vero.
Voglio ricordare ancora un attimo un personaggio che nessuno
ricorderà mai: Rein Taaramäe. L’estone ha vinto una tappa non banale, ma io per
primo confesso di non avere idea delle dinamiche della sua impresa. Oggi la
classifica generale ha oscurato totalmente tutto il resto.
La festa continua e nessuno si tira in dietro, nemmeno
davanti alla Di Stefano e a Cassani che chiedono di abbassare un po’ il tono
della voce dietro le telecamere della diretta del processo alla tappa. La mia
bandiera occitana sventola alle spalle della maglia rosa e di Scarponi,
qualcuno vicino a me intona Se chanto. Ancora una volta tutto bellissimo.
Il mattino dopo la partenza è sotto casa. Ci raggiunge
finalmente Massi che si è liberato per un giorno di microeconomia, insieme a
lui arriva anche la pioggia. Mentre litighiamo con gli amici dell’organizzazione
per farci dare i benedetti pass iniziano a comparire in Corso Nizza i pullman
delle squadre con le loro fantasticherie tecnologiche come le tende che escono
da sopra i finestrini per coprire dalla pioggia bici e meccanici (tranne la
Nippo Vini Fantini, loro sono poveri e le bici le mettono sotto un gazebo
montato a mano)…
…anche la TV
colombiana non è proprio messa bene e piuttosto che pagare un cameramen in
trasferta per un mese hanno preferito comprare al giornalista un bastone da
selfie, più economico e meno impegnativo.
(foto da internet)
Finite le firme i ciclisti partono. Così, nella mia città.
Il Giro saluta Cuneo e Cuneo saluta il Giro. A noi non resta
che correre a Torino per goderci ancora l’arrivo e la premiazione finale.
Grazie a trenitalia arriviamo con un’ora di ritardo e non riusciamo a
raggiungere l’hospitality per la quale avevamo i pass, l’unica è piazzarci in
un posto vicino al palco, mossa che risulta azzeccata.
Infatti finita la tappa e abbattute a forza le transenne
siamo spinti dalla fiumana di gente fin quasi sotto il palco, dove possiamo
così gustarci quel momento che nessuno si sarebbe aspettato.
Quando qualche giorno fa avevamo detto “dopo Cuneo andiamo a
vedere la premiazione a Torino” qualcuno aveva storto il naso dicendo “certo
che andare fino a Torino per veder premiare Kruijswijk…” e infatti…
“E ora, in onore della squadra dell’Astana, verrà suonato l’inno
nazionale kazako”
“Il Kazakistan è / il più grande pais / tutti gli altri pais
/ son governati da femminucce!”
Se avete visto Borat, capirete.
Appena premiato Nibali i curiosi, attirati più dalla sua
fama che dall’evento in sé, han liberato la piazza permettendoci di finire
direttamente sotto il palco per goderci quella parte di premiazione che non
viene passata in televisione ma che regala momenti di alta ignoranza. Iniziamo con
uno dei corridori più belli di del Giro 2016: Esteban Chaves, con il suo
sorriso, la sua simpatia, la sua pacatezza e tranquillità…il colibrì, un mito!
Passiamo a Matteo Trentin, premiato per la combattività ma che
risulta essere anche uno dei migliori sbocciatori riuscendo a bagnare di prosecco
anche noi in terza fila.
È poi il turno di Daniel Oss, premiato sia per le fughe che
per i traguardi volanti (si, premiano anche quelli), il quale si lascia in
prodezze ignoranti non da poco.
Infine vogliamo ricordare un anonimo corridore (forse Lukasz
Wisniowski) che dopo la premiazione della sua squadra (l’Etixx) per il fair
play si è trattenuto sul palco a lanciare cappellini incitato da una folla in
delirio.
L'ho già detto un paio di volte ma mi ripeto: tutto bello, anzi, bellissimo!
Lo dicono di tanti sport, ma forse vale solo per il nostro: "non venitemi a dire che il ciclismo è solo uno sport!".
Fugone2
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